Economia

Dossier La sfida vera: l’azienda «vegetale»

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    Dossier | N. 9 articoliRapporto Sviluppo sostenibile

    La sfida vera: l’azienda «vegetale»

    • –di Luigino Bruni
    Luigino Bruni (Fotogramma)
    Luigino Bruni (Fotogramma)

    Il capitalismo green sta operando una autentica rivoluzione nel nostro modo di intendere le imprese e la loro responsabilità ambientale e sociale. C'è, però, un aspetto della metafora “verde” che non viene sufficientemente enfatizzato nei molti dibattito sull'evoluzione delle imprese. È il passaggio dalla metafora animale a quella vegetale.

    Le imprese del XX secolo si sono strutturate sul modello animale: una forte divisione funzionale del lavoro e un ordine gerarchico. Questa organizzazione gerarchico-funzionale ha consentito loro di correre molto, di spostarsi in cerca di opportunità, di reagire agli stimoli e ai cambiamenti degli ambienti, di diventare l'organismo di maggiore successo in un tempo di grande “cambiamento climatico”, soprattutto se confrontate con le comunità civili e politiche, molto più lente, democratiche, diffuse, ancorate al territorio. Le imprese sono state e sono i grandi vincitori della storia evolutiva del nostro tempo velocissimo. Ad un certo punto, però, con l'arrivo di internet e delle reti, che somigliano molto alle piante l'ambiente del mondo umano è cambiato drasticamente. La stessa immagine della rete o della ragnatela (web) ci ricorda molto da vicino la vita diffusa dei vegetali, non certamente gli organi e le gerarchie degli animali.

    Gli alberi e il mondo vegetale hanno una caratteristica fondamentale: sono ancorati al suolo, hanno radici. Questo ancoraggio alla terra ha rappresentato nel tempo un grande svantaggio evolutivo, perché ha impedito alle piante di fuggire dai predatori o di spostarsi durante le crisi dell'ambiente circostante (incendi o mutamenti climatici). Questo grande limite ha però prodotto una enorme opportunità: hanno dovuto imparare a sopravvivere perdendo anche il 50 o l'80% del loro corpo, riuscendo a non morire anche quando vengono divorate dagli animali e ridotte a poca cosa. Per riuscire in questa operazione miracolosa, le piante hanno dovuto imparare a svolgere le loro funzioni vitali con tutto il loro corpo.

    Noi animali abbiamo avuto un grande vantaggio evolutivo sulle piante grazie allo sviluppo di organi, con una forte divisione funzionale. Respiriamo con i polmoni, ascoltiamo con le orecchie, vediamo con gli occhi. Le piante, invece, non avendo organi, vedono, respirano, sentono con l'intera estensione del loro corpo. Noi abbiamo un sistema gerarchico per pensare e decidere, le piante ‘pensano e decidono' con le foglie, con i rami, col fusto, con le radici. La loro vulnerabilità legata alla sedentarietà le ha portate a spalmare in tutte le loro cellule le loro funzioni vitali.

    Gli organi specializzati degli animali ci hanno consentito una grande efficienza e un enorme successo cognitivo, che però paghiamo con un'altra grande vulnerabilità: è sufficiente perdere un organo vitale per morire. È molto più difficile uccidere una pianta che uccidere un animale. Una grande vulnerabilità è diventata una maggiore resilienza alla morte.

    Le organizzazioni che oggi vogliono muoversi in questo nuovo ambiente deve imparare a respirare, ascoltare, ricordare, parlare con tutto il corpo: come le piante. Devono quindi ripensare e stravolgere la rigida struttura gerarchica. Chi vuol sopravvivere e crescere nella nuova economia è sempre più chiamato ad evolvere decentrando e spalmando tutte le funzioni (compresa quella imprenditoriale), rinunciando ad un controllo gerarchico di tutti i processi e decisioni, attivando e responsabilizzando tutte le cellule del corpo. In realtà, nel nostro modello di sviluppo esistono imprese organizzate secondo il paradigma vegetale: sono le cooperative. La forza della cooperazione consiste nell'aver sviluppato una distribuzione delle funzioni in tutto il corpo, rinunciando alla rigida organizzazione gerarchica per attivare l'intera compagine sociale. Le cooperative hanno imparato a respirare, sentire, decidere con tutto il loro corpo, e lo hanno fatto ripensando i diritti di proprietà dell'impresa e il governo. Essendo ancorate ai territori sono state molto più lente e in genere meno efficienti delle imprese capitalistiche, ma si sono mostrate molto più resilienti alle crisi ambientali, esterne e interne. E quando muoiono, il loro fallimento dipende molto spesso dall'aver rinunciato alla metafora vegetale per imitare gli animali più veloci e attraenti, adottando la loro governance e cultura. Se le cooperative e le imprese di comunità perdono le loro capacità di utilizzare tutte le cellule per respirare e vivere, si ritrovano solo con gli svantaggi dell'ancoraggio al territorio.

    È probabile che i protagonisti capaci di abitare con successo il “tempo della ragnatela” saranno organizzazioni sempre più diffuse e orizzontali, ma che assomiglieranno alle “vecchie” cooperative. Il vulnus delle imprese nella new economy della rete è infatti il loro essere cambiate nella cultura e nella governance ma non ancora nei diritti di proprietà. I proprietari dei nuovi giganti del web sono ancora troppo pochi, i profitti (enormi) sono ancora molto concentrati in poche mani. Saranno i diritti di proprietà e quindi la distribuzione della ricchezza e la democrazia economia le sfide della sostenibilità del nuovo capitalismo vegetale. Finché non inizieremo a pensare a nuove forme di proprietà diffuse nelle nuove foreste globali, ci daremo un look green ma resteremo predatori.

    L’autore è docente alla Lumsa di Roma ed è autore di diversi testi chiave sull’economia civile

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