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11 Dicembre 2024

NOTIZIE DA ANCI EMILIA ROMAGNA

Intercenter: annullamento bando riscossione tributi ed entrate comunali 2

Intercenter con determina dirigenziale n. 396 del 26/11/2018 ha provveduto all’annullamento in via di autotutela del bando di gara per l’affidamento dei servizi di riscossione tributi ed entrate comunali 2, limitatamente ai lotti 2 e 3. Per gli enti delle province ricomprese in tali lotti l’Agenzia pubblicherà a breve un nuovo bando di gara.

ANCI Emilia Romagna diramerà a breve una specifica nota


GIURISPRUDENZA

Cass. civ. Sez. II, sent. 20766 del 28-11-2018

Imposta pubblicità – Sanzione violazione regolamento comunale – Responsabilità singoli soci – Inesistenza - “E' stato precisato che in caso di violazione amministrativa riconducibile ad una società, dotata o meno di personalità giuridica, la relativa sanzione va irrogata alla persona fisica autrice del fatto (rappresentante o dipendente dell'ente, nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze), salva l'eventuale responsabilità solidale della società medesima (Sez. 1, Sentenza n. 177 del 11/01/1999 Rv. 522143). E ancora, nella disciplina delle infrazioni amministrative di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689, i soci di una società di persone non possono essere assoggettati a sanzione solo in base a tale qualità, perché la pena pecuniaria deve essere irrogata a carico della persona fisica autrice del fatto, con l'eventuale responsabilità solidale della società, a norma dell'art. 6 della citata legge (Sez. 1, Sentenza n. 5212 del 29/11/1989 Rv. 464394). Sempre con riferimento alla applicabilità della sanzione ai soci di società di persone, più recenti pronunzie di questa Corte – richiamate anche nelle conclusioni del Procuratore Generale - hanno affermato il principio secondo cui in tema di sanzioni amministrative, a norma dell'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l'azione materiale o l'omissione che integra la violazione; ne consegue che, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone (nella specie una s.n.c.), non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all'infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale”.

Cass. civ. Sez. V, Sent. 30361 del 23-11-2018

IMU- Concessione di area per progettazione e costruzione edificio comunale – Assoggettamento in qualità di concessionario - “E' pacifico nella giurisprudenza della S.C. che "In tema di ICI, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 18, comma 3, nel modificare il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, comma 2, prevedendo che "nel caso di concessione su aree demaniali soggetto passivo è il concessionario", ha reso quest'ultimo, a partire dalla data di applicabilità della nuova disciplina (annualità 2001), obbligato non solo sostanziale (in sede di rivalsa del concedente), ma anche formale, facendo venir meno la necessità di accertare se la concessione che gli attribuiva il diritto di costruire immobili sul demanio avesse effetti reali (con la conseguenza della tassabilità degli immobili ai fini ICI in capo al concessionario) od obbligatori (con la diversa conseguenza della intassabilità") (Cass. n. 24969 del 2010). Nel caso di specie è pacifico che la contribuente sia concessionaria di area demaniale (…) Tale rilievo di fatto far ritenere assorbita la questione circa la sussistenza in capo alla contribuente di un vero e proprio diritto di superficie. In ogni caso sotto tale ultimo profilo si condivide quanto di recente espresso dalla S.C., secondo cui: "In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la concessione all'ATER di aree espropriate dai comuni per la realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica, ai sensi della L. n. 167 del 1962, art. 10, come sostituito dalla L. n. 865 del 1971, art. 35, attribuisce al concessionario il diritto di superficie sulle aree, ovvero le facoltà proprie di tale diritto, con la conseguenza che quest'ultimo, una volta realizzati gli immobili, in applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, diviene soggetto passivo dell'imposta, non occorrendo, a tal fine, un ulteriore atto costitutivo del diritto di superficie, in quanto l'incontro delle volontà dei due soggetti rileva su un diverso piano." (Cass. n.21222 nel 2017, ma anche Cass. n. 15447 del 2010).

Cass. civ. Sez. V, Sent. 30050 del 21-11-2018

Imposta pubblicità- Concessionario – Firma autografa – Firma amministratore società – Pubblicità gru – Assoggettamento IMU - “La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162 (in vigore dall'1 gennaio 2007), prevede che gli avvisi di accertamento dei tributi locali "sono sottoscritti dal funzionario designato dall'ente locale per la gestione del tributo" e, quanto alla sottoscrizione con firma a stampa del responsabile del procedimento, la L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, stabilisce che " la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e accertamento è sostituita dall'indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati", e questa Corte ha chiarito che si tratta di norma speciale, non abrogata, la quale, pertanto, conserva la sua efficacia (Cass. n. 9079/2015, Cass. n. 6736/2015, Cass. n. 20362/2017), e che, a garanzia del contribuente e della trasparenza della azione amministrativa, il nominativo del funzionario responsabile va individuato con apposito provvedimento di livello dirigenziale (Cass. n. 20628/2017, n. 15447/2010)”. Nel caso di concessione, invece, non occorre alcun provvedimento allorquando gli atti del concessionario sia firma dal rappresentante legale della stessa società. In tale ipotesi, infatti, “c'è esercizio diretto di poteri che discendono dalla carica ricoperta nell'ambito dell'organigramma della società, nella specie, quella di Amministratore Unico, la cui verifica non richiede provvedimenti di sorta, ma è agevolmente effettuabile tramite il Registro delle Imprese, previsto dall'art. 2188 c.c., e tenuto da apposito ufficio istituito presso le Camere di Commercio”.

La decisione del giudice di appello non è conforme al dato normativo richiamato, considerato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, intende assoggettare ad imposizione il messaggio pubblicitario attuato "attraverso forme di comunicazione visive o acustiche", in quanto espressivo di capacità contributiva, tutte le volte in cui l'uso del segno distintivo dell'impresa o del prodotto (ditta, ragione sociale, marchio) travalica la mera finalità distintiva, che è quella di consentire al consumatore di riconoscere i prodotti o servizi offerti sul mercato dagli altri operatori del settore, orientandone le scelte, per il luogo (pubblico, aperto o esposto al pubblico) ove esso è situato, per le sue caratteristiche strutturali, o per le modalità di utilizzo, essendo oggettivamente idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti il nome, l'attività o il prodotto dell'impresa (tra le altre, Cass. n. 9580/1994, n. 8220/1993, n. 1930/1990, sia pure con riferimento al D.P.R. n. 639 del 1972, art. 6). La valutazione operata dal giudice di merito si discosta dal consolidato insegnamento di questa Corte, secondo cui il presupposto normativo deve essere individuato nella astratta possibilità del messaggio, in rapporto alla ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perchè vengono a trovarsi in quel luogo determinato (Cass. n. 6714/2017, n. 27497/2014, n. 21161/2009, n. 22572/2008, n. 1930/1990). Nè vale richiamare la nozione d'insegna di esercizio, che assolve la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività economica, ipotesi che qui non ricorre essendo pacificamente altrove la sede della società Benazzato Gru, per cui non può trovare applicazione l'esenzione dall'imposta sulla pubblicità prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, primo periodo (Cass. n. 27496/2014). (…) Non appaiono, invero, sufficientemente individuabili i criteri a cui il giudice di secondo grado si è attenuto per scriminare, in concreto, sul piano della rilevanza tributaria, l'uso del segno distintivo in chiave semplicemente identificativa di prodotti e servizi dell'impresa, dall'uso del segno distintivo in chiave pubblicitaria, atteso che quel che conta, ai fini della imposta comunale sulla pubblicità, al di là della intenzioni soggettive, è l'oggettivo risultato conseguito con il messaggio dal soggetto interessato alla pubblicità”.

Cass. civ. Sez. II, Sent. 29447 del 15.11.2018

COSAP – Griglie areazione condominio – Assoggettabilità – Sussiste - “Inoltre deve, poi, evidenziarsi come le S.U. di questa Corte, con sentenza n. 18037/2009, hanno affermato che il canone per l'occupazione per cui si controverte "concepito come un quid ontologicamente diverso dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche" rappresenta "il corrispettivo di una concessione reale o presunta". Tale principio enunciato dalle S.U. implica la debenza del canone in questione nelle, ipotesi non solo di abusiva occupazione di suolo pubblico, ma pure di collocazione di griglie o intercapedini insistenti su parte di suolo in ogni caso assoggettata a pubblico passaggio (il principio, inoltre, risulta sostanzialmente ribadito dalle più recenti Cass. n.ri 12167/2003, 14864/2006 e 10733/2018). In altre parole la concessione presunta a favore della P.A. comporta la debenza del canone sia a fronte di una occupazione abusiva di suolo già pubblico, che in dipendenza di una occupazione di suolo comunque divenuto pubblico ancorchè già costituente area perimetrale condominiale. Nella concreta fattispecie in esame la sentenza gravata, eludendo il dictum e le conseguenze del principio sancito dalla riportata decisione delle S.U. del 2009, ha fatto discendere direttamente dall'atto di cessione intercorso fra Condominio e Comune l'esclusione del trasferimento dell'area perimetrale condominiale al Comune, nel mentre quella area, ove utilizzata per pubblico passaggio, comportava comunque - alla stregua del principio stesso - la debenza del canone. In altre parole, ancora, l'obbligo di pagamento del canone sussiste sia nel caso di concessione, anche presunta, per occupazione abusiva, che nella diversa ipotesi di uso collettivo del suolo”.

Cass. civ. Sez. V, Sent. 29089 del 13.11.2018

Imposta sulla pubblicità – Cartelli stradali - Assoggettabilità - “La giurisprudenza elaborata da questa Corte in materia di imposta comunale ulla pubblicità ha reiteratamente affermato (Cass. nn 17852/04 e 23383/09) che anche i segnali di indicazione elencati all'articolo 39, lettera e), del nuovo codice della strada - i quali includono i segnali turistici e di territorio (aventi, ai sensi dell'art. 134 reg. nuovo C.d.S., la funzione di fornire agli utenti della strada informazioni necessarie o utili per la guida e la individuazione di località, itinerari, servizi e impianti) - nonché, in particolare, i segnali di avvio a fabbriche e stabilimenti, ove racchiudano il riferimento nominativo a una determinata ditta, svolgono, per la loro sostanziale natura di insegne, anche una funzione pubblicitaria tassabile ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5”

Cass. civ. Sez. V, Sent. 29086 del 13-11-2018

Imposta di pubblicità – Distributori automatici – Assoggettabilità – Sussiste - “In realtà, come già osservato da questa Corte (cfr. Cass. civ. sez. 5 15 febbraio 2012, n. 2167; n. 13023/2015; n. 27497/2014;6714/2017), ai fini specifici dell'imposta si deve considerare comunque aperto al pubblico lo spazio interno della stazione ferroviaria il cui accesso sia consentito ai soggetti muniti di biglietto di viaggio; ciò in quanto, dalla richiamata disposizione normativa, si evince che il presupposto impositivo debba essere individuato nell'astratta possibilità del messaggio, in rapporto all'ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perchè vengono a trovarsi in quel luogo determinato (cfr. anche Cass. civ. sez. 5 2 ottobre 2009, n. 21161 e Cass. civ. sez. 5 8 settembre 2008, n. 22572). (…) Il quarto motivo è del pari privo di fondamento. Infatti l'art. 17, comma 1 bis, recita: "L'imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati. I comuni, con regolamento adottato ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52 possono prevedere l'esenzione dal pagamento dell'imposta per le insegne di esercizio anche di superficie complessiva superiore al limite di cui al periodo precedente". Nel caso di specie, deve essere esclusa l'applicabilità della norma in esame in quanto la macchina distributrice di alimenti e bevande sulla quale erano posti i pannelli pubblicitari non può essere identificata come sede dell'Impresa, essendo la ricorrente una Società di capitali, e pertanto per sede effettiva deve intendersi il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'Ente ed ove operano i suoi Organi amministrativi o i suoi dipendenti. Infatti, l'esenzione fiscale, e come tale da ritenersi di stretta interpretazione, di cui al Dlgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1-bis, non può essere applicata ai distributori automatici di cibi o bevande ai quali non può ricondursi il concetto tanto di sede legale quanto di quella effettiva di esercizio dell'attività sociale, e neppure può ipotizzarsi un rapporto pertinenziale con la sede della Società, in ragione dell'ampia diffusione territoriale che impedisce a monte la stessa configurabilità di un rapporto durevole di servizio del singolo distributore alla sede sociale (Cass. n. 13023/2015; n. 27503/20149)”

Cass. civ. Sez. V, Sent. 28676 del 9-11-2018

TARSU – Alberghi – Tariffa differenziata rispetto alle utenze domestiche – Legittimità – Distributori automatici – Assoggettabilità – Sussiste - “Ebbene, nella valutazione di conformità della disciplina nazionale in materia rispetto al principio evincibile dall'art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12 (già desumibile dall'art. 11 della direttiva 75/442), la CG ebbe ad affermare (come recepito da Cass. cit.), che: - "- è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; - in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonchè della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; - sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l'art. 15, lett. a) della direttiva 2006/12; - nella materia le autorità nazionali dispongono di un'ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; - per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purchè non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili". Sicchè, in definitiva, "il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sè, contrario al principio "chi inquina paga" recepito dall'art. 11 della direttiva 75/442. Il limite posto dalla Corte di Giustizia alla discrezionalità delle autorità nazionali costituisce attuazione del principio di proporzionalità, largamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, secondo il quale non sono ammessi regimi d'imposizione i cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria. La Corte richiama, a titolo esemplificativo, la sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 1997 in causa C - 28/95, Leur Bloemr punti da 41 a 45". Posto tutto ciò, è dunque evidente come la valutazione di effettiva congruità e proporzionalità di una determinata tariffa comunale rispetto al volume ed alla tipologia del rifiuti, così come al costo del servizio, non integra questione interpretativa di portata generale, quanto questione di merito attinente alla fattispecie concreta; così da dover essere risolta dal giudice nazionale (anche in applicazione del su ricordato sistema interno di presunzione legale relativa) e non dalla CGUE in sede di rinvio interpretativo pregiudiziale. (…) Va, pure in proposito, richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte (ord. 913/16 cit., con ulteriori richiami), secondo cui, in tema di TARSU, "è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime. Infatti, la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell'attività, il quale può eventualmente dar luogo all'applicazione di speciali riduzioni d'imposta, rimesse alla discrezionalità dell'ente impositore" (Cass. n. 4797/14, Cass. n. 8336/15)”.

Cass. civ. Sez. VI, Sent. 28175 del 5-11-2018

Regione Emilia Romagna – Area inserita nel PSC – Assoggettabilità come area fabbricabile – Legittimità - “Il primo motivo è inammissibile in relazione al disposto dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155), avendo la decisione impugnata giudicato in conformità al principio di diritto secondo cui l'edificabilità di un'area, ai fini dell'applicazione del criterio di determinazione della base imponibile, fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita dal piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione di esso da parte della Regione e dell'adozione di strumenti urbanistici attuativi, affermato dalla Sezioni Unite di questa Corte 30 novembre 2006, n. 25506, anche alla stregua della norma d'interpretazione autentica di cui al D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, lett. 1)) del citato decreto; principio, giova qui ricordare, costantemente ribadito dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le altre, Cass. sez. 5, 27 luglio 2007, n. 16174; Cass. sez. 5, 16 novembre 2012, n. 20137; Cass. sez. 5, 5 marzo 2014, n. 5161; Cass. sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4091; Cass. sez. 6-5, ord. 27 aprile 2017, n. 10476) in un quadro di riferimento segnato anche da pronuncia della Corte costituzionale (ord. 27 febbraio 2008, n. 41), che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della succitata norma d'interpretazione autentica. 4.1. Dette considerazioni evidentemente sono esattamente riproponibili nel rapporto tra previsione generale di piano e norme attuative, quali siano le denominazioni in concreto assunte anche secondo le legislazioni regionali (si veda in proposito, con specifico riferimento a rapporti tra piano strutturale comunale e piano operativo comunale nell'ambito della legislazione urbanistica di riferimento dell'Emilia Romagna, Cass. 5, 27 gennaio 2017, n. 2109).

Cass. civ. Sez. VI, Ord. 28046 del 02-11-2018

ICI- Atto di accertamento per omessa dichiarazione – Decadenza – Quinto anno successivo a quello della dichiarazione e non a quello del versamento - “L'ente locale deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161 del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, in quanto erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto decaduto il comune dal potere impositivo, alla data di notifica dell'avviso d'accertamento, benchè si trattasse pacificamente di un'ipotesi di omessa dichiarazione ICI e non solo di omesso versamento e quindi il termine scadeva entro il 31 dicembre del quinto anno successiva all'anno nel quale la dichiarazione andava presentata. Il motivo è fondato. Infatti è pacifico l'orientamento di questa corte, secondo cui "(...) trattandosi di accertamenti tutti relativi a fattispecie di omessa dichiarazione, per quanto riguarda l'anno 2006, il dies a quo per il relativo esercizio e quello del 31.12.2007, venendo quindi in applicazione la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, secondo cui, per quanto qui rileva, l'avviso di accertamento d'ufficio doveva essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere effettuata (...)" (Cass. ord. n. 19145/16). Nel caso di specie, poiché l'annualità era il 2006, l'obbligo di presentazione della dichiarazione scadeva il 31 luglio 2007, quindi, la notifica dell'accertamento impugnato, avvenuta il 27 novembre 2012 era senz'altro tempestiva, secondo il dettato normativo.

Cass. civ. Sez. V, Sent. 27582 del 30-10-2018

Fattura TIA – Mancata impugnazione non preclude impugnazione atti successivi - “La commissione tributaria regionale ha individuato il prodromico atto impositivo necessitante di autonoma impugnazione, nella fattura con la quale venivano addebitati i canoni dovuti, sebbene non ricompreso tra gli atti di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 che possono essere impugnati davanti alle commissioni tributarie. Questa affermazione manifesta l'errore di diritto nel quale la commissione tributaria regionale è incorsa. La fattura non rientra nell'elenco tassativo degli atti impugnabili avanti al giudice tributario così come previsti nell'elenco di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Se è vero che tale circostanza non ne impediva l'impugnazione, in quanto estrinsecazione sostanziale della pretesa impositiva in tutti i suoi elementi essenziali, altrettanto indubbio è che tale impugnazione costituiva una "facoltà", e non (diversamente da quanto enunciato dal giudice di appello) un "onere" per la contribuente; con la conseguenza che l'opzione per la mancata autonoma impugnazione non comportava, a carico di quest'ultima, la ravvisata decadenza o preclusione. Questa, infatti, aveva facoltà di attendere che la pretesa in questione le venisse inoltrata attraverso uno degli atti "tipici" di cui all'art. 19 cit. (segnatamente, l'avviso di liquidazione emesso in assenza di dichiarazione iniziale della contribuente, ovvero in difformità da quest'ultima); evenienza, quest'ultima, che si è appunto verificata; con la conseguenza che l'impugnazione dell'avviso di liquidazione poteva essere estesa anche al fondamento della pretesa impositiva. Si è affermato più volte che "in tema di contenzioso tributario, l'impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo (nella specie, le fatture TIA), è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d'impugnazione dell'atto successivo (nella specie, l'avviso di liquidazione sanzioni)" (Cass. ord. 14675/16). Ha osservato Cass. 2616/15 che: "in tema di contenzioso tributario, l'impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 che, tuttavia, sia espressivo di una pretesa tributaria ormai definita (nella specie, la fattura) è una facoltà e non un onere, costituendo un'estensione della tutela, sicchè la sua omissione non determina la cristallizzazione della pretesa tributaria, nè preclude la successiva impugnazione di uno degli atti tipici previsti dall'art. 19" (in termini, anche Cass. ord.26129/17 ed altre)”

Cass. civ. Sez. V, Sent. 27575 del 30-10-2018

Area soggetta a perequazione urbanistica- Cessione diritti edificatori – Assoggettabilità intera area - “Occorre brevemente premettere che la perequazione è una tecnica urbanistica volta ad attribuire un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà che possono concorrere alla trasformazione urbanistica di uno o più ambiti del territorio comunale. La caratteristica di tale tecnica risiede nel fatto che si prescinde dall'effettiva localizzazione della capacità edificatoria sulle singole proprietà e dalla imposizione di vincoli di inedificabilità apposti, al fine di garantire all'amministrazione la disponibilità di spazi da destinare ad opere collettive. Ne deriva che i proprietari partecipano in misura uguale alla distribuzione dei valori e degli oneri correlati alla trasformazione urbanistica. L'obiettivo è il superamento della discriminatorietà tra i terreni coinvolti a seguito della zonizzazione, nonchè la possibilità per il comune, entro certi limiti, di disporre gratuitamente di aree pubbliche (…) Sostanzialmente il meccanismo perequativo comporta che ciascun proprietario di un'area edificabile, sia pure titolare del diritto di costruire, non può sfruttare in concreto il proprio diritto all'edificazione, in quanto l'area soggetta a perequazione non raggiunge il limite minimo dell'indice di edificabilità previsto. Il proprietario sarà incentivato a procurarsi altrove la differenza volumetrica, al fine di poter esercitare in concreto il proprio diritto all'edificazione o attraverso l'acquisto di nuove aree ovvero consorziandosi con altri proprietari. (…) E' di tutta evidenza che quando l'amministrazione ricorre alle misure ora esposte si determina una separazione della capacità edificatoria dalla proprietà del terreno da cui la stessa ha origine. Tale capacità edificatoria diventa trasferibile e negoziabile. Si tratta, infatti, dei diritti edificatori cui ha ora riguardo il D.L. n. 70 del 2011, art. 5, comma 3, convertito con L. n. 106 (c.d. decreto sviluppo) del 2011, laddove dispone che, "per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, all'art. 2643 c.c., comma 1, dopo il n. 2, è inserito il seguente: "2-bis) i contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonchè nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative"". (…) 4 2. La fattispecie in esame pone la questione se in presenza di una perequazione urbanistica siano integrati presupposti per l'applicazione dell'Ici, imposta a carattere reale. Ad avviso dei contribuenti la soluzione è negativa, in quanto l'imposizione, nel caso di specie, ha ad oggetto diritti edificatori esercitabili su suoli di terzi. 4.3. Tale impostazione non è condivisibile, in quanto il meccanismo della perequazione urbanistica deve essere coniugato con il presupposto di applicazione del tributo. Va, infatti, condivisa la consolidata giurisprudenza per la quale, ai fini Ici, ciò che rileva è l'edificabilità in astratto del suolo, ovvero la sua potenzialità edificatoria, anche non immediatamente attuabile, purchè il suolo sia incluso in un PRG anche semplicemente adottato. (…) 4.5. Nel caso in esame i terreni oggetto di imposizione sono inseriti in un ambito di perequazione edilizia residenziale nel quale residua ancora cubatura disponibile per l'edificazione. In particolare, le aree in oggetto sono destinate a spazi pubblici attrezzati a parco e strade in perequazione edilizia. A tali beni, dunque, è attribuito un indice fondiario al quale corrisponde una potenzialità edificatoria. Tali beni, inoltre, risultano collegati a specifici comparti di espansione per i quali sono necessari anche i diritti edificatori attribuiti ai terreni oggetto di accertamento. Si deve concludere che si tratta quindi di un'area "utilizzabile a fini edificatori" in forza della potenzialità alla stessa riconosciuta dal PRG.”

 
 

 

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